Come sovente accade con riferimento agli interventi normativi in materia di strumenti di pagamento, l’origine della disposizione in commento deve rinvenirsi nella legislazione comunitaria, e segnatamente nella Direttiva (UE) 2019/7133 in tema di frodi e falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti, cui ha fatto sia seguito sia la modifica al Codice Penale (con la modifica degli artt. 493 ter e 640 ter c.p. e l’introduzione dell’art. 493 quater c.p.), sia l’introduzione del suindicato art. 25 octies 1 al D.lgs. 231/2001. Prima di analizzare il nuovo articolo del D.lgs. 231/2001, è opportuno fare alcune riflessione sugli “strumenti di pagamento diversi dai contanti”

Alla ricerca di una definizione comune: gli strumenti di pagamento diversi dal contante

Una prima definizione è evidentemente rinvenibile nello stesso d.lgs. 184/2021, il quale all’art. 1, definisce come tale «un dispositivo, oggetto o record protetto immateriale o materiale, o una loro combinazione, diverso dalla moneta a corso legale, che, da solo o unitamente a una procedura o a una serie di procedure, permette al titolare o all’utente di trasferire denaro o valore monetario, anche attraverso mezzi di scambio digitali», chiarendo ulteriormente che:

  1. i) per «dispositivo, oggetto o record protetto» si intende un dispositivo, oggetto o record protetto contro le imitazioni o l’utilizzazione fraudolenta (per esempio mediante disegno, codice o firma) e
  2. ii) la locuzione «mezzo di scambio digitale» indica «qualsiasi moneta elettronica definita all’art. 1, comma 2, lett. h ter), d.lgs. 385/1993, e la valuta virtuale», intendendosi quest’ultima come una «rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è legata necessariamente a una valuta legalmente istituita e non possiede lo status giuridico di valuta o denaro, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio, e che può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente».

È necessario, tuttavia, rammentare sin da ora che nell’ordinamento italiano esistono ulteriori definizioni relative al tema che qui interessa, che non risultano esattamente sovrapponibili a quelle di nuovo conio e non sono state modificate dalla normativa in commento. Ci si riferisce in particolare a quella presente nel d.lgs. 11/2010 in tema di servizi di pagamento nel mercato interno, che identifica come «strumento di pagamento» qualsiasi dispositivo personalizzato e/o insieme di procedure concordate tra l’utente e il prestatore di servizi di pagamento e di cui l’utente di servizi di pagamento si avvale per impartire un ordine di pagamento.

La definizione di moneta elettronica (mezzo di scambio digitale) contenuta invece nel d.lgs. 385/1993 (Testo Unico Bancario), viene invece ripresa espressamente dallo stesso art. 1, d.lgs. 184/2021, e pertanto sarà individuabile nel valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento ed accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall’emittente.

Tema invece assolutamente autonomo sotto il profilo definitorio è poi quello relativo alla valuta virtuale (o criptovaluta) per cui la principale definizione preesistente è contenuta nel d.lgs. 231/2007 (normativa Antiriciclaggio) che così la individua: «la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». Anche in questo caso, la definizione del nuovo decreto differisce in alcune parti, ed in particolare laddove specifica che la moneta virtuale «non possiede lo status giuridico di valuta o denaro» e che viene «accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio».

Nuovi reati nel catalogo del d.lgs. 231/2001: l’introduzione dell’art. 25 octies 1 e l’adeguamento dei Modelli organizzativi

A livello di D.lgs. 231/2001, la suddetta Direttiva dispone l’obbligo per gli Stati membri di prevedere la responsabilità delle persone giuridiche per i reati nella materia di interesse commessi a loro vantaggio.

Il comma 1 del nuovo articolo 25 octies 1 D.lgs. 231/2001 dispone le sanzioni pecuniarie applicabili in relazione alla commissione dei delitti sopra descritti, individuandole in:

  1. a) per il delitto di cui all’art. 493 ter, la sanzione pecuniaria da 300 a 800 quote;
  2. b) per i delitti di cui agli artt. 493 quater, e per il delitto di cui all’art. 640 ter, nell’ipotesi aggravata dalla realizzazione di un trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale, la sanzione pecuniaria sino a 500 quote.

Non sfugge al lettore l’apparente ridondanza della previsione relativa all’art. 640 ter (aggravato) con quella già presente all’art. 24, d.lgs. 231/2001, e pertanto appare opportuno svolgere alcune considerazioni in merito. L’art. 24 d.lgs. 231/2001 sanziona la commissione del delitto di cui all’art. 640 ter p., laddove commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico o dell’Unione europea. La previsione di cui all’art. 25 octies 1 attiene invece la generalità delle ipotesi in cui il reato di cui all’art. 640 ter c.p. venga commesso con l’aggravante del trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale. Sembra pertanto trattarsi di due ipotesi distinte, il che lascia spazio al quesito di quale sarebbe la soluzione applicabile laddove il reato venisse commesso in danno di un ente pubblico nell’ipotesi aggravata. Se da un lato sembra ragionevole ritenere la prevalenza a monte dell’ipotesi di cui al comma 2, art. 493 quater, dall’altro occorre rammentare che in tal caso resterebbe esclusa la possibilità di innalzare i limiti della sanzione pecuniaria da 200 a 600 quote in caso di profitto di rilevante entità per l’ente ovvero di un danno di particolare gravità, in quanto tale ipotesi non risulta prevista dall’art. 25 octies 1, (mentre lo è dall’art. 24). Sotto questo profilo verosimilmente sarà la giurisprudenza relativa alla casistica reale a fornire ulteriori indicazioni ermeneutiche. In ogni caso, di fronte ad una sostanziale replicazione di norme all’interno di due distinte previsioni del Decreto – con i rischi interpretativi che ne conseguono – sarebbe parsa auspicabile una previsione di maggiore dettaglio in merito da parte del Legislatore.

La previsione contenuta poi nel comma 2 della disposizione in commento appare contraddistinta da una notevole ampiezza: in sintesi si dispone la sanzionabilità di ogni altro delitto contro la fede pubblica, contro il patrimonio o che comunque offende il patrimonio previsto dal Codice penale, quando ha ad oggetto strumenti di pagamento diversi dai contanti – e questo salvo che il fatto integri altro illecito amministrativo sanzionato più gravemente.

La formulazione della norma non appare del tutto felice. Innanzitutto, il riferimento ad altro «illecito amministrativo sanzionato più gravemente» sembrerebbe fare riferimento alle ipotesi di illeciti contemplati dal d.lgs. 231/2001, ma di tale limitazione non è fatta menzione alcuna e rischiando pertanto di presentare criticità interpretative ed applicative, ad esempio, con riferimento alle ipotesi per cui il sistema sanzionatorio implichi lo schema del «doppio binario». Inoltre, nel prevedere la sanzionabilità di «ogni altro delitto contro la fede pubblica, contro il patrimonio o che comunque offende il patrimonio previsto dal Codice penale» a condizione che abbia ad oggetto strumenti di pagamento diversi dai contanti, la norma apre la via alla potenziale rilevanza ai sensi del Decreto di numerosi reati che non sono espressamente previsti nel catalogo del medesimo, venendo così astrattamente ad includere qualsiasi ipotesi di cui ai Titoli VII e XIII c.p., sotto il solo comune denominatore del relativo oggetto. D’altro canto, con riferimento alle norme incriminatrici già presenti nel Decreto si dovrà svolgere un’attenta disamina per verificare quale disposizione sanzionatoria risulterà applicabile: se infatti la locuzione introduttiva «salvo che il fatto integri altro illecito amministrativo sanzionato più gravemente» sembra offrire il criterio fondamentale di valutazione, occorrerà comunque valutare il grado di coinvolgimento dello strumento di pagamento diverso dai contanti in ogni singola ipotesi. E questo anche alla luce della «gradazione» prevista dal comma 2, art. 25 octies 1, che individua la sanzione in base alla pena del reato di base secondo il seguente schema:

  1. a) se il delitto è punito con la pena della reclusione inferiore ai 10 anni, la sanzione pecuniaria sino a 500 quote;
  2. b) se il delitto è punito con la pena non inferiore ai 10 anni di reclusione, la sanzione pecuniaria da 300 a 800 quote.

Chiude la disposizione la previsione dell’applicazione delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, nei casi di condanna per uno dei delitti di cui sopra.

La rilevanza dell’impatto delle nuove norme con riferimento all’adeguamento dei Modelli organizzativi appare evidente.

In primis, gli enti dovranno riprendere in considerazione le tematiche relative alle falsità estendendole agli strumenti di pagamento diversi dai contanti, valutando i conseguenti rischi non solo in termini di potenziale falsificazione, ma anche di indebito utilizzo. Ed alla luce dell’ampia pletora di strumenti rilevanti ai sensi della nuova definizione di cui all’art. 1, d.lgs. 184/2021 il campo di indagine appare estremamente ampio, non potendosi limitare ai soli strumenti «classici» (e.g. le carte di credito), ma dovendo includere ulteriori soluzioni comprese quelle immateriali nonché la moneta virtuale – con tutte le implicazioni che ne possono discendere.

Inoltre, sempre a livello della fase preliminare di individuazione dei rischi, i risultati di tale attività dovranno essere valutati non solo con riferimento ai reati di cui agli artt. 493 bis, 493 quater e 640 ter c.p., ma anche – in funzione dello specifico oggetto (i.e. gli strumenti di pagamento diversi dai contanti) – prendendo in considerazione ogni altro delitto contro la fede pubblica, contro il patrimonio o che comunque offende il patrimonio, previsto dal Codice penale. Certamente la peculiare scelta legislativa nella formulazione del comma 2, art. 25 octies 1, pone l’ente (e l’interprete) di fronte ad un approccio nuovo alla prevenzione da reato, che indubbiamente richiederà notevole sforzo di comprensione ed attuazione, ma che auspicabilmente potrà invitare a soluzioni maggiormente elastiche ed adattabili alla realtà operativa dell’ente nella definizione ed attuazione dei propri Modelli di organizzazione e gestione.